venerdì 14 marzo 2008

PROLOGO

Continua la traduzione del libro di Bennett.
Buona Lettura,
E.

E’ mezzanotte passata. Per circa due ore, quindici o venti allievi Inglesi e Americani hanno ascoltato la lettura della Seconda Serie dei suoi scritti. In un’altra stanza, venticinque o trenta membri del gruppo francese stavano ascoltando lo stesso capitolo in francese. Adesso siamo seduti intorno al tavolo, tutti quelli che possono essere contenuti nella piccola sala da pranzo ed altri stanno mangiando la loro cena seduti sul pavimento nella stanza accanto dove si era tenuta la lettura in francese.
Molte facce sono familiari, ma ci sono due visitatori dalla Grecia che non avevamo visto prima, che occupano il posto d’onore alla sua destra, e due nuovi arrivati dall’America che sono vecchi amici di molte delle persone nella stanza. La stanza è molto affollata, ma non c’è trambusto nel servire, i piatti erano stati portati prima e le portate sono cambiate in silenzio da quelli che si trovano dietro il tavolo, che stanno a loro volta mangiando dalla mensola del caminetto.
Tutta l’attenzione è rivolta verso Gurdjieff. Il pasto ha raggiunto l’apice che tutti stavano aspettando. E' stato fatto un brindisi che serviva come testo per il sermone che, per quanto molte volte ripetuto, sembrava solo guadagnarne per questo in forza drammatica.
“Ognuno deve avere uno scopo. Se non avete uno scopo, non siete uomini. Vi dirò un semplice scopo, morire di una morte onorevole. Ognuno può prendere questo come suo scopo senza nessun filosofeggiamento – non morite come cani”. Poi ha chiesto a qualcuno dei presenti di spiegare cosa questo volesse dire, e la risposta fu “Solo chi ha lavorato su di se' nella vita può morire di una morte onorevole. Chi non lavora su di se' nella vita inevitabilmente prima o poi perirà come uno sporco cane”. Gurdjieff ripeté che questo era il primo e il più semplice scopo che ogni uomo deve darsi prima di tutto, e solamente quando ha raggiunto questo può procedere oltre per uno scopo più alto. Come sempre, fece diventare la conversazione un gioco, ed in un minuto la stanza era scossa dalle risa per via di una storia circa le peculiarità degli Inglesi. Ma l’impressione della profonda serietà della nostra condizione umana rimaneva, della scelta con cui ci confrontavamo tra la vita e la morte.
Il pasto continua, e durante la conversazione con uno dei nuovi arrivati, Gurdjieff inaspettatamente dice, “Ti dirò il primo comandamento di Dio all'uomo. Questo non è uno dei comandamenti che fu dato a Mosè, che erano per persone speciali, ma uno dei comandamenti universali che sono sempre esistiti. Ve ne sono molti, forse venti, ma questo è il primo. ‘Lascia che una mano lavi l’altra.’ E’ molto difficile per una mano lavarsi da sola, ma se una mano lava l’altra , entrambe saranno pulite.” Parole semplici, ma dette così penetravano alla radice dell’egoismo presente in ognuno di noi. Ci guardavamo l’un l’altro con occhi diversi, comprendendo che da soli eravamo senza speranza, e realizzare che c’era qualcosa che ci legava con qualcosa di più forte dell’amicizia o della razza o del credo. Anche chi era completamente estraneo in mezzora si era unito a noi in una comprensione comune.
Gurjieff è molto stanco. Mangia con difficoltà, C’è un lungo silenzio. Qualcuno gli pone una domanda circa la pubblicazione di Belzebù. Parla dei suoi scritti, e dice che sono i suoi soldati. Con essi farà guerra al vecchio mondo. Il vecchio mondo deve essere distrutto al fine di permettere al nuovo mondo di nascere. I suoi scritti faranno molti amici ma anche molti nemici. Quando saranno pubblicati, egli sparirà. Forse non ritornerà. Abbiamo protestato dicendo che non potevamo lavorare senza di lui. Se fosse scomparso lo avremmo seguito. Sorrise e disse, “forse non mi troverete.”
Il pasto finisce, il caffé è servito. Gurdjieff si fa portare il suo strumento musicale preferito, un organetto con una forma particolare, e suona un lungo corale su una scala greca. Ce ne andiamo alle 2:30. Tre visitatori tornano in Inghilterra al mattino presto poche ore dopo perciò partono carichi di doni di cibo in regalo per le loro famiglie.

J.G. Bennett, 1950

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