sabato 22 marzo 2008

Il Lavoro su di Sé

Continua la traduzione del libro di Bennett. Non sto seguendo un ordine preciso, i capitoli che più mi colpiscono sono quelli che vengono tradotti prima, ringrazio Guido e Gianni per il loro aiuto di traduzione e revisione del materiale e rinnovo l'invito a tutti quelli che hanno una conoscenza sufficiente della lingua inglese a partecipare a questo lavoro, vi è ancora tanto materiale che vale la pena tradurre.
Buona lettura e buon lavoro,
E.


E’ molto importante per me ricordare al lettore che il concetto di “nulla” che deve diventare “qualcosa” si trova alla base ti tutti gli insegnamenti religiosi. E’ la dottrina della rinascita, della morte e della resurrezione che, per quanto espressi differentemente, hanno sempre lo stesso contenuto. Il suo significato e valore è però perso se il suo carattere paradossale viene attenuato. Il sincero sfogo, “Insensato, quel che tu semini non è vivificato, se prima non muore” è detto dal cuore di chi ha visto nella sua propria esperienza l’insensatezza di parlare di rinascita senza morte. Gurdjieff parlava di questo come della “morte del ‘Tiranno’ da cui proviene la nostra schiavitù in questa vita.” Questi sono tutti i frutti importanti dell’auto osservazione condotta correttamente. Nella realizzazione della mia nullità, vedo che la mia vita è vissuta come schiavo di un “Tiranno” inesistente, che è l’Io immaginario di quelle speranze, paure ed immaginazione per cui spendo le mie energie. Questo è perché la realizzazione della propria nullità è anche chiamata “la prima liberazione dell’uomo.”
Abbiamo qui il secondo decisivo test che deve essere applicato ad ogni insegnamento. Se esso inizia con l’affermazione che un uomo “è” già, e si offre di mostrargli solo come aumentare il suo potere e il suo valore, è necessariamente e dimostrabilmente falso. Anche se insegna la necessità della rinascita, ma non mostra che prima di poter nascere, egli deve prima morire, esso non possiede la verità. Anche se insegna che una persona deve morire, ma presenta l’idea come un’esperienza emozionale, una rinuncia cosciente di qualcosa che possiede già, è ingannevole e pericoloso. Questo è perché la frase “la realizzazione della propria nullità” è sicura e molto esatta. Ma questa realizzazione può solo giungere dall’abilità di vedere oggettivamente cosa sia esistere, e cosa sia il non esistere. La conoscenza dell’esistenza e della non esistenza è inseparabile l’una dall’altra, così come la conoscenza di caldo e freddo, buio e luce. Fino a che non posso distinguere e esperire i due stati – non conosco oggettivamente nulla di loro.
Da questo, raggiungiamo il terso stadio del “lavoro su di sé.” La realizzazione della propria nullità non è la perdita di speranza. Non voglio dire con questo che la disperazione può essere del tutto assente anche dal lavoro condotto correttamente; ma il suo sorgere e significato sono chiaramente differenti dalla realizzazione della propria nullità. Chiarirò questo successivamente. Prima, è necessario arrivare ad afferrare il significato della domanda “lavorare su di sé”. Per questo dobbiamo tornare sul concetto dell’uomo come essere con tre cervelli. Ho fatto riferimento a questi tre cervelli rispettivamente come la forza affermativa, contraria e neutralizzante nella triade dell’esperienza umana. Questa idea può essere facilmente fraintesa. Porre la mente e il corpo in conflitto rispettivamente come forza affermativa e contraria sembra portarci solamente all’ascetismo, che è il soggiogare il corpo come fine per se stesso. Frasi come “ha iniziato a lavorare consapevolmente con una completa assenza di misericordia verso la sua parte contraria e a creare intenzionalmente condizioni di disturbo per questa parte in se stesso” ha tutto il sapore di una mortificazione corporale tipico del Benedetto Henry Suso di San Pietro di Alcantara. Ognuna di queste interpretazioni è contraddetta dall’insistenza delle obbligazioni verso il nostro corpo planetario, e al “fare richieste ad esso solo in relazione alle sue possibilità intrinseche.” Ogni lavoro che ha delle conseguenza indesiderabili per il corpo planetario non deve essere sottovalutato, per quanto ci possa piacere e per quanto ci possa interessare. Ma i doveri verso il corpo planetario sono espressi più specificatamente nella “Organizzazione dell’Esistenza dell’Uomo Creata dal Molto Santo Ashiata Sheimash” dove il primo obbligo deve consistere nello sforzo per l’uomo “di avere, nella sua esistenza ordinaria, la soddisfazione di quanto sia realmente necessario al suo corpo planetario.”
L’apparente contraddizione sorge dalla confusione fra il cervello sensibile e il corpo planetario, più avanti descritto come “solo una formazione cosmica dipendente, consapevole di nulla.” Non può prendersi cura di se stesso, deve essere prima trattato in maniera corretta in modo che possa servire le parti che sono state spiritualizzate correttamente.
Le sorgenti affermative e negatorie nell’uomo sono “il cervello della sua testa ed il cervello della spina dorsale.” Nella condizione ordinaria della vita meccanica, questi due cervelli funzionano quasi completamente senza nessun contatto l’uno con l’altro, e non vi è fra di loro nessuna relazione di affermazione e negazione. Quando, comunque, un uomo comincia a comprendere il processo in cui la materia è trasformata nel suo organismo per la formazione delle parti più elevate di lui, egli vede che una particolare sequenza si stati fisici è richiesta. Per esempio, può essere necessario per il suo corpo, durate certi periodi, di rimanere in una certa posizione per rendere possibile il procedere di un processo particolare di trasformazione e assimilazione dell’energia. L’uomo conosce questo con la sua mente, ma il risultato deve essere ottenuto attraverso il corpo sensibile. Egli assume la postura, ma se ha imparato ad osservare, sente che questa è piena di imperfezioni. Con la mente, chiede più esattezza e maggiore concentrazione. Per quanto il suo cervello sensibile può procedere nella direzione richiesta, non è abbastanza; la concentrazione non penetra nel suo organismo completamente. La sua mente dice, “non posso.” Questa è l’affermazione e la negazione che costituiscono la relazione del lavoro si di sé.
Il ruolo del cervello emotivo è quello di portare e sostenere la comprensione che arriva dalle passate esperienze di successo e fallimento. È solamente quando è presente nel cervello emozionale la realizzazione della mia nullità, che è l’esperienza della non esistenza in relazione all’esperienza, in cui l’affermazione e la negazione del mio pensiero e sensazione può essere unito nella singola esperienza di “Io posso perché devo.” Per primo e indubitabilmente ovvio è che tutto il lavoro su di sé si risolve in una triade composta dalle forze di affermazione, negazione e riconciliazione nel cervello del pensiero, delle sensazioni e delle emozioni. Ma questo non può essere compreso sino a che l’uomo non ha una genuina esperienza del lavoro su di sé. Questo è perché è impossibile, o piuttosto indesiderabile, cercare di descriverlo. “Conosce solo colui che lo ha provato.”
La creazione di un nuovo essere in se stesso consiste nel creare qualcosa dal nulla. Questa è una impossibilità, ed è impossibile. Questo è perché la disperazione deve sempre entrare nel lavoro su di sé. Disperazione è realizzare che quello che sto cercando di fare è impossibile, ed allo stesso tempo che è necessario e non vi è via di uscita da esso.

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