martedì 26 febbraio 2008

Principi 1

In questo articolo, o serie di articoli, vorrei trattare i principi del sistema della Quarta Via e la lettura degli stessi in maniera pratica e funzionale alla nostra esistenza.
Prima di affrontare le idee della Quarta Via vorrei fare una premessa partendo da una citazione di G. I. Gurdjieff:

Non avete nessuna ragione per credermi.
Vi domando di non credere a nulla che non potete verificare per voi stessi…
Se non avete una mente critica, la vostra visita qui è inutile.
G.I. Gurdjieff


Per poter lavorare con il sistema della Quarta Via è necessario avere una mente critica e analitica, ogni idea deve essere compresa, questa parola nel sistema ha un significato particolare, individualmente e concretamente in relazione alla propria esistenza pratica. Senza una mente critica è assolutamente inutile intraprendere un percorso di lavoro perché il rischio minore che corriamo è di imbattersi in qualche ciarlatano dell’esoterismo che tutto al più può insegnarci la scorciatoia per un bravo psichiatra, quello maggiore è quello di perdere la propria sanità mentale per sempre.
Il lavoro su di sé non è qualcosa da proporre come un piatto gustoso del tipo “sai oggi ho mangiato questo perché non lo provi?”, è un percorso duro e insicuro, non è mai garantito nulla e solo attraverso i propri sforzi e comprensioni possiamo sperare di arrivare a ciò che è possibile raggiungere per l’essere umano a livello della vita organica sulla terra.

Premesso questo partiamo dall’idea da cui parte il Sistema, cioè che l’uomo non è realmente consapevole di se stesso e vive, durante il periodo che chiamiamo veglia, in uno stato di sonno, diverso da quello in cui ci troviamo durante la notte, più vicino all’equivalente di uno stato ipnotico, in cui le suggestioni che abbiamo ricevuto indirizzano le nostre azioni al di là della nostra volontà, la quale non viene in sviluppata ed esercitata. Questo perché nessuno può sviluppare qualcosa ed usarla se non ne sente la mancanza o crede di possederla già, e noi non ci accorgiamo che quello che ci accade avviene in maniera automatica.

Ma partiamo dal principio, un bambino non sa distinguere diverse realtà, per lui dai cartoni animati agli essere umani tutto appartiene ad un'unica realtà, crescendo osserva ed assimila il comportamento delle persone che lo circondano, genitori parenti e amici, e inizia, per imitazione e non per ragionamento, a costruire un pantheon di “verità” ed assunti che nel tempo diventano le sue personali suggestioni, gli strumenti per la generazione delle sue risposte agli stimoli dell’ambiente circostante. Ma queste riposte non provengono dalla volontà dell’individuo, ma bensì dal processo automatico di assimilazione casuale delle esperienze.
A questo punto possiamo introdurre l’idea del dormire e per farlo mettiamo in parallelo l’unica forma di sonno che diamo per assunto, il sonno notturno chiamato nel sistema il primo stato, in cui ricarichiamo i nostri accumulatori per il giorno successivo e il sonno nello stato di veglia, chiamato secondo stato.
Nel primo stato siamo scollegati dalla realtà, quello che accade non ci riguarda e non ne abbiamo nessuna memoria consapevole, in questo stato sogniamo, viviamo cioè delle esperienze che sembrano reali, evocano emozioni, ci muoviamo, parliamo, pensiamo e proviamo sensazioni, a tutti gli effetti l’idea di sogno è equiparabile ad un’esperienza reale. Ma il sogno non permane, la memoria di un sogno molto difficilmente è completa, ricordiamo degli sprazzi, e anche se appena svegli ne abbiamo una memoria maggiore poche ore dopo è quasi completamente persa.
Analizzando ora il normale stato di veglia, il secondo stato, in cui viviamo le nostre vite possiamo trovare molti punti di collegamento con il primo stato. Durante il secondo stato non siamo completamente scollegati dalla realtà che ci circonda, come nel primo stato, ma interagiamo con essa in base alle suggestioni della nostra educazione, per questo le risposte che diamo agli stimoli che riceviamo ogni momento, le impressioni, sono, per la quasi totalità dei casi, automatiche; molto raramente provengono dalla nostra essenza, il che vorrebbe dire che sono proprio nostre, essendo questa completamente avvolta dalla falsa personalità. Possiamo anche osservare che non abbiamo una profonda memoria degli eventi che accadono nel secondo stato, sappiamo che abbiamo compiuto delle azioni, ma se proviamo a ricordarle, nella maggior parte dei casi, quello che c’è rimasto è una visione sfocata di ciò che è accaduto, esattamente come il ricordo di un sogno. Capita certe volte che sia difficile distinguere se un sogno avuto nel primo stato è accaduto realmente o no, questo perché, nello stato di veglia, la possibilità di essere consapevoli è presente solo in potenza e non in maniera automatica. Nella vita come nei sogni accadono cose straordinarie, ma la nostra connessione con esse è sempre parziale, analizzando il nostro passato possiamo trovare eventi e situazioni che ricordiamo con maggiore chiarezza; quelli sono i momenti in cui l’incontrarsi di diverse linee di eventi accidentali ci ha portato ad uno stato più elevato di coscienza, registrando l’evento nella nostra memoria.

Per chiarire questo di passaggio da uno stato ad un’altro è utile a questo punto introdurre l’idea di IO. Nel sistema si dice che l’uomo è formato da molti IO, che si riuniscono in gruppi e danno vita a quelle che vengono chiamate personalità. Ma cosa sono questi IO? Ouspensky li definisce:
Un IO è solo un desiderio, una voglia.
E successivamente aggiunge:
Pensate che gli IO sono piccoli e la personalità consiste in desideri già più complicati.

Durante l’età formatoria, e nel corso della nostra vita assimiliamo diversi IO, molti dei quali nel sistema vengono definiti IO immaginari, perché si basano sull’imitazione piuttosto che sulla comprensione e formano quegli strumenti che sono chiamati respingenti che ci permettono, nel secondo stato, di rimanere distaccati dalla realtà e non vedere le contraddizioni che abbiamo in noi.
Facciamo un esempio per meglio capire questa idea: se sono cresciuto in una famiglia molto religiosa, avrò imparato certe nozioni e certi pregiudizi nei riguardi di altre fedi; incontrando una persona che professa un altro credo quello che accadrà in me è quello di essere immediatamente prevenuto verso questa persona e di alzare un muro alla comunicazione o di cercare di forzare, se sono un tipo attivo, per far prevalere le mie ragioni sulle sue. Tutte queste azioni sono il risultato dell’azione dei respingenti che generano una limitazione alle possibili risposte nel momento.

Se iniziamo a vedere e a percepire emozionalmente questa condizione di sonno e suggestione nelle azioni degli uomini e principalmente in noi stessi, ciò che ci circonda, anche nelle sue espressioni più assurde, inizia ad avere un senso. Iniziamo così a creare la possibilità di aprirci ad altri IO, ad entrare in contatto con la realtà; stiamo facendo il primo passo nel terzo stato di coscienza, perché possiamo incominciare a vedere e a non respingere le contraddizioni che si trovano in noi stessi.

La falsa personalità è un gruppo di IO limitato che si oppone alla possibilità di una visione più ampia della realtà perché è formata da pochi IO che per loro natura non permettono l’ingresso di altri, per questo il lavoro è così difficile. Dobbiamo pensare alla falsa personalità come ad un individuo che ragiona in una sola direzione, quando cerchiamo di mostrargli che esistono altre forme di pensiero, più vaste e più ricche egli si oppone perché non è nelle sue possibilità fare questo cambiamento, una visione più ampia lo fa semplicemente scomparire. Questo è un punto molto importante per coloro che intraprendono il viaggio del lavoro, è un intervallo molto delicato in cui una forza esterna deve entrare per aiutare questo passaggio difficile. Questa forza esterna si compone delle verifiche personali, del desiderio, e di un metodo. Gurdjieff dice che perché il lavoro posa iniziare fra le persone è necessario avere una relazione di mutua sincerità e fiducia. Questo è il presupposto per fare entrare il mondo che ci circonda all’interno di noi e per uscire dal sonno del secondo stato.
E’ senza ombra di dubbio un processo difficile e spesso doloroso, la falsa personalità ha una vita propria alla quale non vuole, in maniera meccanica, rinunciare e per questo si dice che il lavoro è l’equivalente di una morte e rinascita, perché dopo tanto tempo distaccarsi e trasformare la falsa personalità nella vera personalità evoca l’emozione di una perdita, di una morte. Questo è uno dei significati del sacrificio nelle scuole esoteriche, superare la menzogna della morte della falsa personalità per permettere la nascita di qualcosa di nuovo.
Ma questo non deve accadere tutto in una volta, il lavoro è un processo lungo e graduale, non si tratta di compiere un omicidio interno ma di costruire una struttura in grado di sostenerci e sostituirsi alla falsa personalità, la personalità di lavoro nutrita dalla volontà. Lo sviluppo della volontà è ciò che sostituisce i respingenti e ci apre alla comprensione.

Ma cerchiamo di essere più pratici. Attraverso lo strumento del ricordo di sé, che significa costruzione della consapevolezza di sé, possiamo ampliare il numero ed i tipi di IO in nostro possesso e creare nuove connessioni più ricche più vaste e all’interno delle quali possiamo muoverci e sviluppare la volontà.
Attraverso l’uso dell’attenzione divisa possiamo essere nel momento in un modo più completo, ma per fare questo è importante ricordare di non ascoltare e seguire subito il flusso dei pensieri automatici, ma di cercare di rallentare, per primo il pensiero e poi la risposta emozionale. Per fare questo possiamo usare sempre il pensiero che, per sua velocità, è lo strumento che è più facile da gestire, ed in questo ci ricolleghiamo alla citazione di G. all’inizio, senza una mente critica non possiamo lavorare.
Un esercizio per sviluppare questo è: quando parliamo con qualcuno di cercare di arrestare i nostri pensieri automatici ed iniziare ad osservare l’altra, il modo in cui parla, il soggetto, come si muove, e ricordando che ognuna di queste osservazioni evocherà in noi una serie di risposte automatiche dobbiamo fare del nostro meglio per arrestarle e cercare di vedere cose nuove che non abbiamo visto fino a quel momento. E’ nell’espansione delle nostre percezioni che risiede la reale costruzione del sé e la possibilità di indirizzare le energie che di solito sono disperse in immaginazione nella costruzione della consapevolezza e della coscienza.
Un altro esercizio per lo sviluppo della consapevolezza è quello di richiamare alla mente tutto quello che sappiamo su un soggetto o oggetto e di comprendere con sincerità: è tutto qui quello che so? Riconoscendo che è possibile e necessario espandere la conoscenza di qualcosa o qualcuno.

L’obiettivo del lavoro è quello di espandere le nostre realtà permettendoci di poter “fare” delle scelte differenti. Nello stato ordinario crediamo di avere la possibilità di rispondere diversamente, ad esempio ricordando un evento passato possiamo pensare che avremmo potuto comportarci in un modo completamente diverso e questo, forse, sarebbe possibile se la situazione si ripetesse in maniera completamente uguale, ma in realtà la risposta che abbiamo dato allora era l’unica che eravamo in grado di dare in quel momento per più ragioni: la prima è perché non essendo presenti nel momento a quello che ci accade creiamo un immagine sfuocata delle cause che hanno portato alla nostra azione. Secondo è che non sappiamo e non possiamo sapere che variabili porterà con se il momento, quindi è praticamente impossibile programmare un azione futura in maniera completa. Terzo le nostre caratteristiche e centro di gravità influiscono in maniera automatica sul tipo di risposte che diamo.

Se, attraverso il lavoro, riusciamo ad espandere la nostra comprensione della realtà, non vi sarà solo una possibilità data dalla nostra risposta automatica, ma svariate possibilità che si esprimono attraverso la nostra comprensione degli elementi che stanno agendo nel momento.
Il lavoro su di sé non è qualcosa a cui si arriva e ci si ferma, è un costante stimolo e sforzo per il miglioramento di sé, se abbiamo espanso la nostra comprensione della realtà possiamo continuare a farlo e dobbiamo continuare a farlo per sempre, ci sono e ci saranno sempre nuove realtà da scoprire e realtà già conosciute da approfondire ed arricchire.

Introducendo l’idea del primo passo nel lavoro pensiamo a questo: come il sonno notturno inizia a finire quando ci stiamo accorgendo di essere addormentati, così il sonno del secondo stato inizia a finire quando iniziamo ad accorgerci di esso, questo è il primo passo, da li in poi il desiderio, lo sforzo e la capacità di aprirsi a nuove comprensioni racchiude la speranza della propria crescita.

Spero che questo articolo sia di aiuto a tutti coloro che sentono il desiderio e lo stimolo al lavoro su di sé, e spero altresì che generi domande e apra lo spazio ad un confronto con i lettori del blog.

Buon Lavoro
E.

Nessun commento: