martedì 14 ottobre 2008

Scuole e Trappole

Il lavoro sulla Quarta Via così come tutti i percorsi spirituali e di evoluzione dell’uomo può essere usata sia per fini evolutivi che per fini personali. Nel secondo caso è possibile subire dei danni molto gravi alla propria persona, per questo è indispensabile che chiunque desideri portare avanti un lavoro personale consideri certi elementi che possono indicare la direzione in cui un’organizzazione si sta muovendo.

Il prolificare di scuole, gruppi e gruppetti possono essere un utile strumento di diffusione e confronto delle idee del sistema ma può anche essere uno strumento di danneggiamento e sofferenza se usato nel modo sbagliato. Vi sono alcuni elementi che indicano quando un gruppo o scuola sta andando in una direzione opposta ai principi dello sviluppo e crescita dei suoi partecipanti. Di seguito voglio fare un elenco di situazioni che se sono parte di un gruppo dovrebbero far riflettere i suoi partecipanti riguardo ai veri intenti del gruppo stesso.

La Quarta Via è un via per l’uomo occidentale, e per tanto risente di una serie di limitazioni tipiche della nostra cultura, le pratiche che possono avere avuto un certo significato per dei percorsi spirituali sviluppatisi in altri contesti storici e culturali, come ad esempio quella di venerare il maestro o di prendersi cura del suo sostentamento non funzionano, o meglio sono manipolati per fini individuali ed egoistici, nella nostra civiltà.

I punti da tenere presenti per chiunque faccia parte o desideri far parte di un’organizzazione da sono:

* Se il maestro, l’insegnate o insegnanti traggono il loro sostentamento dall’organizzazione. Questo è un punto importante, perché un individuo che il cui sostentamento è portato avanti grazie ai propri allievi è limitato dal fatto che deve avere un certo numero di entrate per riuscire a sbarcare il lunario e questo può condizionare la sua relazione con l’organizzazione.
* Il numero dei partecipanti. Se un’organizzazione è molto grande di solito, viene meno il lavoro individuale con le singole persone, che rappresenta un punto fondamentale per non scadere in comportamenti strutturati e cristallizzati. Quante più persone fanno parte di un’organizzazione tanto più il messaggio diventa “standard” questo è un limite al Lavoro.
* I soldi. Un organizzazione deve sopravvivere, ma è importante l’uso che viene fatto dei soldi, se questi non sono impiegati per le attività e l’aiuto dei membri con difficoltà allora si rischia di creare una azienda piuttosto che un luogo di lavoro, lo scopo di un’organizzazione non è quello di essere ricca ma di sostenere le sue attività
* Il dogmatismo. Quanto le idee di lavoro diventano degli assoluti e non è più possibile metterle in discussione si cristallizzano nella mente formatoria e questo arresta il lavoro.
* L’unico luogo di evoluzione e l’unica via possibile. Se un organizzazione dice di essere l’unico luogo e il suo messaggio l’unico grazie al quale è possibile evolvere sta ingannando i suoi membri.
* La perdita di tutto. Se un’organizzazione dice che allontanandosi dall’organizzazione stessa un individuo perde ogni possibilità di evoluzione significa che deve proteggere il suo status e quindi non ha la forza di vedere al di la di sé stessa.
* Distacco netto e giudicante tra i membri dell’organizzazione e i non membri. Se un’organizzazione giudica “inferiori” o senza nessuna possibilità coloro che non ne fanno parte dimostra di non aver capito come funziona il mondo in cui opera ed attua un processo di auto glorificazione di sé e dei membri portando all’illusione di essere quello che non si è.
* Rifiuto delle famiglie e luoghi di appartenenza. Un’organizzazione che chiede di rinunciare alle proprie famiglie di origine o amicizie inganna i suoi membri e li porta ad abbandonare delle parti molto importanti della loro vita, con l’intento di renderli dipendenti dall’organizzazione.
* Donazioni. Un’organizzazione che chiede soldi di continuo, e chiede donazioni di oggetti e servizi senza che ve ne sia un reale bisogno, come al fine di sostenere un membro ammalato o che ha avuto problemi, dimostra di essere nella direzione di accumulare soldi come priorità e di allontanarsi dalle reali necessità dei membri.
* Un’organizzazione che abbandona i membri perché non adatti per impedimenti fisici o troppo vecchi senza un reale sostentamento e aiuto dimostra di non essere interessata all’evoluzione e cura dei suoi partecipanti.
* Cristallizzazione delle attività. Se un’organizzazione dà troppa importanza alla forma, come ad esempio agli esercizi, che devono essere fatti in maniera assoluta e senza discutere, che diventano routine e non si modificano, dimostra di aver perso il senso e lo scopo di tali strumenti e si cristallizza nella limitatezza della forma piuttosto che nella dinamicità di vedere cosa serve nel momento.
* Il maestro come superuomo. Se il maestro o gli istruttori sono considerati come dei superuomini e questo è nutrito e incentivato dall’organizzazione, si genera una condizione di soggezione nei membri e di conseguenza un divario fra loro e la struttura stessa dell’organizzazione.
* Il senso di colpa. Se in un’organizzazione gli aderenti vengono fatti sentire in colpa e giudicati per il livello del loro lavoro si genera una struttura di dominio e gerarchia negativa che non può portare a nessuna evoluzione.
* Struttura piramidale. Se la struttura è rigidamente piramidale e non vengono considerate le singole individualità si perde lo scopo del lavoro in gruppo.
* Legame a vita nell’organizzazione. Se un’organizzazione impone in maniera diretta o indiretta un legame a vita con la stessa, non vi è la comprensione che il lavoro di scuola serve come strumento di passaggio e non come punto di arrivo.
* Il silenzio. Quando vi sono argomenti di cui non si può parlare, l’organizzazione chiude le porte al suo arricchimento e al confronto con le diversità.
* Chiusura ad altre discipline. Se un’organizzazione dice che il suo percorso è l’unico e non considera che in altri sia possibile trovare integrazioni per arricchire e espandere il proprio lavoro si ferma la sua crescita.
* Il maestro deve essere un servitore dei suoi studenti e non i suoi studenti servitori del maestro, in linea di massima un uomo che ha già lavorato su di sé dovrebbe essere in grado di aiutare gli altri e per questo avere più facilità a lasciare andare la sua falsa personalità. Un insegnante che deve dominare gli altri sta perseguendo dei fini personali e non aiuterà l’evoluzione dei membri. Se vi fosse la comprensione che un maestro è un servitore non vi sarebbero così tanti individui che si professano tali.
* Un insegnante che si pone al di sopra degli altri parlando del suo livello d’essere e di quanto ha raggiunto pone gli allievi in uno stato di considerazione interna e di timore reverenziale, devono essere le azioni a parlare per lui e non le parole.
* Un insegnante che non sia anche umano, e quindi con tutte le caratteristiche di un uomo sta recitando una parte.
* I collaboratori dell’insegnate che si arrogano diritti superiori solo per la loro prossimità con lui non hanno compreso i principi del lavoro e quindi rischiano di fare del male alle persone con cui entrano in contatto.
* Se in un’organizzazione la parte preponderante è quella istintiva: denaro, sesso, successo, fama. La direzione che sta seguendo è quella di un’ottava discendente.
* Se gli studenti sono portati a recitare la parte del “bravo studente” hanno perso o stanno perdendo la possibilità di osservare se stessi.
*Il cieco senso del dovere vero l'organizzazione imposto e non costruito attraverso le verifiche personali.



Queste situazioni e molte altre che cercherò di aggiungere ed approfondire nel tempo sono le principali cause di danneggiamento delle persone che, nella speranza di trovare qualcosa che le aiuti, incappano in un’organizzazione distruttiva.

Molte di queste persone una volta uscite se riescono a rimettere insieme i pezzi della propria vita iniziano delle personali crociate contro l’organizzazione stessa. E’ importante che certe informazioni vengano diffuse e che si conoscano i rischi a cui si va incontro quando si cerca un gruppo di lavoro o una scuola. E’ altresì importante però non cristallizzarsi, come purtroppo accade certe volte agli ex-studenti nell’opposto, cioè riproporre lo stesso atteggiamento imparato nella falsa scuola che giudica e limita ogni forma di lavoro, in questo senso ripropongono quello che è stato il loro essere limitati all’interno dell’organizzazione. Queste rappresentano le stesse limitazioni da cui sono giustamente scappati, ma in cui rischiano di rimanere coinvolti in futuro coltivando così ciò che hanno rifiutato.

Queste riflessioni sono il frutto dell'esperienza personale di chi scrive non sono un assoluto ma hanno lo scopo di aiutare chiunque desideri entrare in contatto con gruppi o scuole.

18 commenti:

marcello ha detto...

Mi hai rubato le parole di bocca...troppo bello!

Anonimo ha detto...

Ma come?
Prima ti lamenti dell'abuso delle parole e poi ti complimenti con E dopo questo pilotto?
Allora sono solo un certo tipo di parole che non ti piacciono....ora capisco. :)

Anonimo ha detto...

Ora pero' mi hai ispirato a terribile grafomania per cui comincio.

Caro E,
bell'articolo, non so bene cosa volessi dire, ma lo hai detto bene.
Non e' facile il voler imparare/insegnare qualcosa ed al tempo stesso stare attenti a non ottenere il risultato opposto.
Ti dicevo di De Ropp, e non solo lui, perche', piu' si studia e legge al riguardo dei vari gruppi spirituali, piu' ci si spaventa. Ci si chiede se le controindicazioni siano piu' gravi e pericolose del non fare nulla, a rischio di non imparare quello che si vuole.

Per questo mi piace parlare non solo dei vari gruppi, ma andare all'origine dei diversi sistemi e vedere perche' certe idee siano pericolose o perche' certi sistemi non funzionino.

Tu caro E, hai molta fiducia nel fatto che il 'lavoro' sia possibile in certe condizioni (ancora non chiare), che si possa usare questo sistema (anche non chiaro, ma non per colpa tua) per ottenere certi risultati.
Purtroppo, la mia esperienza non e' questa. Penso il tuo commento si riferisse un po' a questo. Il fatto di poter essere delusi da esperienze precedenti conduce al non credere che l'esperienza sia possibile per altri in un altro luogo. Capisco bene?

Il modo in cui vedo le cose ora non ha niente (be'...quasi) a che vedere con esperienze passate.
E' come esser stato cieco per tutta la vita, e dopo un'operazione levarsi le bende e vedere per la prima volta.
I colori e le cose che si mostrano sono completamente diverse da quelle aspettate.
Il fatto che si abbia seguito una dieta speciale, letto libri riguardanti i colori e cose cosi', non vuol dire che tu sia preparato a vedere le cose che vedi ora, ne' che quello che vedi sia necessariamente collegato a quello che ti hanno letto precedentemente o la dieta che hai seguito.

La vera domanda, per me, e': si puo' seguire una pratica di qualsiasi tipo, senza divenirne schiavi? Se si', come?
Nessuno dei gruppi di O. o G. o Bennett o Collin, almeno dalle fonti accessibili c'e' riuscito.
Anche i tipi zen o Advaita mi sembrano attaccati(identificati) terribilmente alla struttura da cui provengono.
Non nego, completamente, il valore di certi studi a tempo determinato per certi scopi specifici. Il difficile di queste cose e' il sapere cosa fare, quanto a lungo, e per quale scopo.
Mi sembra che questa conoscenza richieda uno studio profondissimo.

Tornando alla divisione dell'attenzione, come ti avevo promesso.
E' veramente necessaria?
Faccio un piccolo esperimento: decido di osservare un oggetto, tipo un'albero, e al tempo stesso sentire che sono vivo, che ho un corpo, che respiro, insomma in poche parole, sono li' mentre vivo questa esperienza. C'e' veramente una separazione (come suggerisce la freccia trifida di collin) tra me e l'oggetto?
Solo se lo sforzo e' intellettuale.
Se sono veramente li', tutto e' parte dell'esperienza, al punto che e' difficile dire dove cominci io e finisca il mondo esterno e viceversa.
Ovviamente questa e' solo la mia esperienza, e per anni ho pensato che la divisione dell'attenzione fosse la base del mio 'lavoro'. Ora, semplicemente godermi tutto quello che capita (o soffrire le stesse cose), sembra sufficiente. Non porta a separazione tra me e le altre cose, anzi direi il contrario. Se sono presente, non c'e' separazione. E' quando non lo sono (per esprimersi cosi'), che esiste una separazione.
Questo e' come vedo la divisione dell'attenzione al momento. Magari cambiera' nel futuro, ma non credo che tornero' a vedere le cose secondo il criterio della freccia!
Lo scopo e' essere sempre piu' collegato alle cose ed agli altri e non esserne diviso.
So che il sistema spinge a questa divisione per osservare le varie funzioni e conoscere cosi' la macchina. Ma sappiamo per certo che sia il metodo migliore o efficace?
E se ci fosse una via piu' breve?
Non doveva essere, questa, la via dell'uomo furbo?

Con affetto

Anonimo ha detto...

Vorrei aggiungere al molto apprezzato post di minimo (come vedi la lunghezza, quando accompagnata dalla sostanza, non mi disturba affatto) un timido commento in cui chiedo:
se lo sforzo in cui E. e' cosi' fiducioso ci allontana da quel 'posto' in noi stessi in cui ci sentiamo connessi con il tutto, potremmo dire che il modo migliore di arrivarvi e' forse nel 'lasciarsi andare'?
accogliere, accettare e sentirsi semplicemente liberi di essere quel che siamo, come lo siamo, quando lo siamo.
Gli sforzi creano resistenza li' dove l'accettazione libera nuove possibilita'.
Parafrasando e traducendo con fatica:
"La vera illuminazione e' sempre con te,
percui non c'e' ragione che tu vi rimanga attaccato o che tu ci debba neanche pensare,
e poiche' e' sempre con te la difficoltà in se stessa e' illuminazione.
La tua vita e' la vera illuminazione.

Enzo ha detto...

Minimo, accipicchia quanto hai scritto.. ah collegandomi a Mr. Parigi che apprezza la lunghezza quando le cose lo interessano e parlano la sua stessa lingua.. mi piacerebbe osservare che comunque quando parliamo stiamo parlando e scrivendo dal filtro delle nostre esperienze. Comprendo che per Minimo ad un certo punto sia arrivato un momento in cui si è sentito liberato dalle bende, ma credo anche che questo sia stato possibile perché vi è stato qualcosa che ha preceduto questo momento. Ci sono tanti diversi percorsi che possono portare alla stessa cosa e quello che va bene per qualcuno forse non va bene per un altro chi può dirlo? Forse lei Mr. Parigi o chi, io non posso. Quello che faccio è trasmettere quello che penso e mi vivo soprattutto, cercando tra diverse difficoltà di rimanere ancorato a quello che reputo migliore, non ho nessuna sicurezza che questo non porterà a sbagliare, ma in fondo non cerco di non sbagliare, ma di imparare. Ora in parte mi rendo conto che questa parola, come la parola sforzo o divisione dell'attenzione causi una improvvisa ed inarrestabile orticaria in qualcuno dei lettori, ma torno a dire che questo è perché, secondo quello che leggo dalle vostre risposte, le associate "solo" alla vostra esperienza. Ovviamente non potrebbe essere diverso ma è importanti non credere che sia l'unica e l'unica giusta. Per esempio personalmente non associo e non mi vivo il concetto di divisione dell'attenzione come una "separazione", nel senso di frammentazione di sé, trovo molto più frammentata la condizione di identificazione. Sperimento che il lavoro sull'attenzione divisa serve proprio a creare una maggiore unità facendoci vedere che siamo parte di un tutto più vasto; se vedo me, gli altri e il mondo non per questo ne sono separato, anzi vedendolo inizio a sapere che esiste insieme ad essi e conseguentemente ad esserne parte, questa però è la mia esperienza.
Riguardo alla tua domanda se si può perseguire un lavoro senza diventarne schiavi, personalmente credo che sia un percorso molto difficile, perché si deve sempre rimanere aperti, e ad esempio non chiudendo a persone come te Minimo anche se stressano certe volte un tanticchio e sono di quando in quando pesantine (senza offesa lo sono anche io), si può sperare di rimanere aperti. E' un rischio ma non vedo motivo per non correrlo.
Mr. Parigi in relazione allo sforzo, credo che sia di grande importanza comprendere cosa si intende per sforzo, lei parla di uno sforzo che equivale, probabilmente questo è come lo considera, a... come dire, dalle mia parti di direbbe "ponzare" cioè quella spinta forte e concentrata di quando si fa la puppù.. (la prego di perdonarmi la leggerezza), ma almeno per quello che comprendo lo sforzo è quello proprio di rimanere collegati ad una visione più ampia e ricca di sé stessi e in collegamento con quello che ci circonda perché, ancora secondo me, la tendenza automatica (non uso meccanica per non turbare gli animi ;P) è quella di identificarsi e perdere proprio questa visione che anche voi signori valutate molto.
Enzo
PS:Minimo sono quasi sicuro che ci conosciamo perché non usi il tuo nome vero?

Enzo ha detto...

Scusate mi è rimasto qualcosa nella tastiera..
accogliere, accettare e sentirsi semplicemente liberi di essere quel che siamo, come lo siamo, quando lo siamo.
Pensi che essere liberi di prendere a schiaffi il proprio figlio perché non lo vuoi sentire piangere o passare sopra alla gente perché non ti accorgi che esistono sia qualcosa di desiderabile? Ma questo è quello che alcune persone sono.. e quindi dovrebbero esserlo e basta? E' importante il contesto di cui si parla altrimenti la brevità rischia di diventare, senza offesa, pressappochismo (spero che tu conosca la parola). Ci sono cose che vogliamo "armonizzare" nella nostra vita altrimenti vivremmo su un altro pianeta.

Gli sforzi creano resistenza li' dove l'accettazione libera nuove possibilità.

Farei attenzione a contrapporre sforzi e accettazione non è mai stato detto che uno neghi l'altro, senza accettazione vivono solo i respingenti.. per gli sforzi vedi post precedente..
Enzo

marcello ha detto...

Superlativo assoluto: io sto pilotto lo conosco a menadito perchè l'ho vissuto sulla mia pellaccia dura.
E diamine se è la verità.
Il L-A-V-O-R-O (così come lo chiamate qui) bisogna viverlo. Il resto sono pugnette per universitari intellettuali annoiati e mantenuti...

Anonimo ha detto...

Caro E. tu dici:
“Queste riflessioni sono il frutto dell'esperienza personale di chi scrive…”

Ho gia’ letto varie liste di questo genere su culti e gruppi vari, scritte proprio cosi’, ma se e’ vero che queste sono le tue esperienze personali, cio’ mi riporta alle domande che ti ho fatto a cui tu non hai mai risposto.

Quale percorso hai intrapreso?

Tu hai imparato in qualche gruppo o da qualche maestro, potresti dire da chi e dove?

Sostieni di aver ottenuto un reale sviluppo di se'. Visto che lo hai verificato, e ne sei sicuro, di cosa si tratta?
Qual'e' il metro di verifica?

Tutte le cose da te elencate sono vere, e se si riuscisse a vederle quando direttamente coinvolti risulterebbero di grande utilita’.
Ho un solo appunto da fare. Forse e’ solo una mia impressione, ma dal modo in cui tu difendi il ‘Lavoro’, e Marcello il 'L-A-V-O-R-O', vorrei risottoporvi uno dei punti che pare abbiate entrambe sperimentato:

* Il dogmatismo.
Quando le idee di lavoro diventano degli assoluti e non è più possibile metterle in discussione si cristallizzano nella mente formatoria e questo arresta il lavoro.

P.S.
E. con le analogie proprio non ci sai fare.
La tua libera interpretazione dello sforzo menzionato da Parigi era proprio fuori luogo.
Il tuo e' stato un impacciato, grossolano e gratuito tentativo di offendere.
Eppure il momento ti offriva cosi' tante opzioni... ah gia..., forse non stavi guidando.

James

Anonimo ha detto...

Non ho ne’ capito ne’ particolarmente gradito il parallelo con lo sforzo coinvolto nella defecazione; francamente, sapendo bene di cosa parli, ero dell’idea che stessimo discutendo sullo stesso tipo sforzo, io tentavo di offrire un punto di vista molto personale e forse troppo diverso a riguardo.Forse ti e' sfuggito.
Ti posso pero' assicurare che capisco molto bene la differenza tra i due tipi di sforzo, ma a questo punto, pur avendo dei dubbi, spero anche tu.

Per ora mi fermo qui, rileggero’il resto del tuo post con piu’ tempo per vedere se ci sono punti sui quali vale sostenere una conversazione.
Gradirei anche far notare a Massimo che se il tono puerile e la totale assenza di sostanza dei tuoi posts e’ il riflesso dei risultati aquisiti dopo aver praticato il lavoro che menzioni a lettere capitali, allora hai qualcosa di molto piu’ grave di cui preoccuparti che non della tua evoluzione.

Anonimo ha detto...

Forse e’ solo una mia impressione, ma dal modo in cui tu difendi il ‘Lavoro’, e Marcello il 'L-A-V-O-R-O', vorrei risottoporvi uno dei punti che pare abbiate entrambe sperimentato


Infatti...vai a L-A-V-O-R-A-R-E. Visto la prolissità dei post e la completa mancanza di argomenti ti conviene passare le serate a cercarne uno vero.

Anonimo ha detto...

Cari amici e nemici, non saro' breve :) se non vi piacciono le pugnette intellettuali come all'amico Marcello non proseguite...
Caro E
e' importante non generalizzare quando si parla delle idee di qualcuno. Nel momento in cui dici "Voi"_, stai accomunando persone ed idee, e non mi ritengo responsabile per le parole altrui, come non considero gli altri partecipanti di questo blog un blocco unito di idee o persone.
Nel momento in cui si comincia con il "Voi contro di Noi" il dialogo e' finito e comincia lo scontro.

Sii preciso, se possibile; dici sei 'pesante' o 'stressi', e questo non mi aiuta a capire cose intendi, quali parti ti sembrano inutili o meno. Forse ti sei offeso quando ho detto che hai scritto un pilotto (vuole solo dire che hai scritto a lungo, 22 metri cubi per la precisione..), non mi dispiace affatto la lunghezza, se occorre per esprimersi.

Non ho un gruppo a cui 'vendere' le mie idee, non ho un sistema a cui aderisco, non insegno a nessuno, non suggerisco esercizi. Per riassumere, l'unica cosa che potrei perdere scrivendo qui, e' il mio tempo.
Questa e' una scelta che faccio ogni volta che decido di scrivere, chiedendomi se e' di alcuna utilita' per qualcuno.
Forse non e' cosi'.

Una strana accusa che fai, e' che le persone parlano 'solo' dalla loro esperienza. Come puo' essere altrimenti?
Da quale altro punto di vista si puo' parlare?
Tu parli dall'esperienza di chi?
Se e' cosi' profondamente diversa dalla nostra, magari ne puoi parlare un po'.

Per me questo e' l'unico modo per mettersi in gioco. Esporsi completamente, e dire, onestamente quello che si e' imparato.

Il fatto che io sia o meno chi tu creda non ha alcuna importanza.
Io non ti giudicherei comunque in base a quello che potrei sapere di te, ma solo da quello che posso intravedere qui.

La mia perplessita' sulla tua fiducia nei risultati di questo cosiddetto lavoro, viene solo dal fatto che questi risultati non li ho visti in nessuno. NESSUNO!
Ho visto qualcosa in alcuni quando questi hanno abbandonato il 'lavoro' (almeno cosi' come lo intendiamo noi) e hanno assimilato le sue lezioni in una visione piu' ampia e globale dell'essere umano. Abbracciato filosofie diverse, abbandonato l'ossessione con lo sforzo, l'avidita' dei risultati, insomma rinunciato all'intera personalita' creata con il 'lavoro'. Non so spiegare come fare, ma e' possibile.

Una cosa che so per certo, e' che non si ottengono risultati solo scimmiottando il 'lavoro', cosi' come abbiamo imparato a conoscerlo dai libri o dai vari gruppuscoli di cui abbiamo fatto parte.
Se si riuscisse ad essere originali nelle nostre esperienze, profondamente onesti con noi stessi, umili nella nostra comprensione (senza vantarsi inutilmente del 'lavoro' fatto o meno), insomma genuinamente uguali uni agli altri e senza paura di mostrare quello che si e',
allora avremmo fatto un passo nella direzione giusta.
Fino a quel momento sara' solo il nostro ego ad averla vinta.

Enzo ha detto...

Sig. Parigi, nel mio post non vi era nessun intenzione di offendere e mi spiace che sia stata interpretata in questo modo, anche lei consce la differenza tra i due tipi di sforzo ora lo so.
Minimo, non sto rivolgendo accuse a nessuno sono osservazioni.
Anonimo, se non vi sono soggetti di interesse per lei le consiglio di non perdere il suo tempo.
James, potresti riassumere il risultato del lavoro (o come lo vuoi chiamare) in un post senza essere frainteso e senza dare luogo a polemiche (visto l'andazzo dei post?)?
Mi sembra che siate molto iper reattivi e pronti a sentirvi offesi e giudicati.
Se rileggete i vostri post vi è sempre una certa tendenza a sminuire o a osservare "cosa non va bene" questa è una mia impressione e rispondo di conseguenza, come mi sembra di notare facciate voi quando vi sentite "giudicati".
Enzo

Anonimo ha detto...

Caro E,
allora non leggi con la dovuta attenzione! Continui con i 'voi e vi'.
Credo anche ti sfugga il tono ironico ed affatto polemico dei miei post, forse sulla difensiva non siamo 'Noi'. Che avremmo da difendere?
Ricorda l'importanza di non prendersi sul serio.
Hai notato che stai sviluppando una tendenza a non ripondere alle domande?
Ed anche, una simile tendenza a giudicare i post non in base a quello che viene detto, ma in base a quello che tu credi abbiano detto. E' diverso.
Se pensi questa sia una peridita di tempo (sembra di leggere tra le righe) nessuno ti obbliga a rispondere, lascia andare, ti assicuro che non cambiera' nulla, il tuo blog sara' lo stesso, il tuo lavoro anche.
Non mi sembra tu ti stia divertendo....e allora che vogliamo fare? Cos'e' questo un lavoro?
Un abbraccio,
p.s. tanto per essere sicuri, non sono offeso, adirato o perturbato!

Anonimo ha detto...

Mi piacerebbe chiedere ai vari partecipanti di questo sito (lasciando un po' stare il povero E che mi sembra stressato :)),
quali sono gli elementi che considerano importanti perche' un 'lavoro' di questo tipo funzioni.
Se qualcuno ha esperienza di qualcosa che ha gia' funzionato per lui nel passato, anche meglio.
Non ho nessuna intenzione polemica, sono veramente curioso di vedere cosa possiamo mettere insieme ed eventualmente imparare gli uni dagli altri.
Pace

Anonimo ha detto...

.....e come sempre l'incomprensione regna sovrana.

La discussione torna a assumere caratteri surreali secondo me come in precedenza e vi spiego perche' penso cosi' ;

Si continua a rimunginare sul fatto che scrivere tanto e' peccato, ma nella conclamazione del suddetto peccato si punta il dito ancora una volta contro qualcuno.

Lo scambio di esperienze mi sembra una pratica molto sana a patto di non tirare fuori una guerra sulle misure tipo : il mio lavoro e' quello giusto perche' ho studiato col maestro tibetano K.L.M. discendente diretto di K.T.M. e per tale ragione se non mi dite con chi avete praticato voi per me non siete attendibili.

Per me prendersi poco sul serio significa qualche volta posare momentaneamente la lente di ingrandimento con cui magnifichiamo eventuali debolezze o presunte tali di qualcuno in maniera ricorrente e massiva e secondo un mio vecchio concetto,
in questa maniera e' facile venire fraintesi o risultare fastidiosi o pesanti.

Ulteriore scena drammatica e surreale sembra quella in cui presunti conoscenti in incognito col cappotto color nocciola e occhiali da sole stile CIA per non essere riconosciuti chissa' perche' provino a destabilizzare esperienze, parole e testimonianze altrui, a prescindere dal carattere, attendibilita' e/o intenti di tali esperienze, parole e testimonianze. Non mi pare la maniera di criticare costruttivamente questa, ammesso che il vero motivo di alcuni interventi sia quella di volere scambiare pareri e muovere critiche costruttive che generino uno scambio di opinioni non violento.

Questo e' solo una piccola percentuale delle mie impressioni leggendo gli ultimi interventi,
come al solito probabilmente i motivi che mi hanno spinto a esternare tali espressioni hanno tutte le caratteristiche potenziali di venire fraintesi come tutto il resto dei fiumi di parole che a volte portano da qualche parte e che invece a volte ci fanno stagnare del tutto, a seconda dell'imbarcazione che decidiamo di utilizzare ( metodi di confronto ) e a seconda del tipo di comunicazione di cui ci avvaliamo e motivazioni che ci portano a volere scrivere su un blog.

Nella speranza di capire prima o poi lo spirito di alcuni di voi, per uno scambio reale e non strutturato su dubbi di carattere motivazionale nel senso che se qualcuno scrive e descrive la propria esperienza, ammesso che non se la stia inventando, cosa si aspetta in cambio per esempio da me che inizio a scoprire il sistema da pochissimi mesi.
Non esiste un rapporto vero senza scambio, soprattutto qui in internet dove per bene che vada c'e' sempre qualche mitomane che si finge donna e invece e' un uomo e via dicendo.

Grazie dell'attenzione , se avete ulteriormente tempo e energie per analizzare questo mio intervento col microscopio per scoprire significati nascosti o palesi non saprei che aggiungere, fate pure a patto che sia di pubblica utilita'e ammesso che l'amministratore del blog ritenga pertinenti con i suoi scopi nell'economia di queste dinamiche del web a volte un po' particolari.

Enzo ha detto...

Grazie per la preoccupazione Minimo.. per fortuna.. nessuno stress ;oP
Enzo

marcello ha detto...

Ho un solo appunto da fare. Forse e’ solo una mia impressione, ma dal modo in cui tu difendi il ‘Lavoro’, e Marcello il 'L-A-V-O-R-O', vorrei risottoporvi uno dei punti che pare abbiate entrambe sperimentato:


Ehi pistolone...prima di risottoporre ricordati che questo sito è un omaggio a uno dei più grandi Maestri del secolo scorso. Perciò prima di farne una questione personale almeno per una volta, per favore...: digita su quella tastiera il nome di Gurdjeff e almeno per una volta metti sul fuoco una Sua idea.

Anonimo ha detto...

Ho fatto parte della Sacsau du Patrizio Paoletti. Ho scritto a lungo sulla mia esperienza sul sito del Cesap . testimonianza Piperino. Credo che sia un esperienza alla fine positiva,ma la scuola da dipendenza.E' molto facile uscire dicendo che è una setta(e io credo che lo sia perchè risponde a tutti i punti del bel post originale). Nello stesso tempo da un idea su cosa possa essere il lavoro non da soli ,un iniziare a intravedere i contorni della propria falsa personalità e contemporaneamente vedere una possibilità di dare una risposta diversa da quella condizionata.
E' molto facile illudersi di stare lavorando, dentro e fuori. Ma dentro scattano dei meccanismi di identificazione col gruppo i quali se non c'è un maestro che sappia neutralizzarli possono danneggiare seriamente un individuo.
Credo che prima di intraprendere qualsiasi percorso spirituale sia importante avere profondi "ancoraggi " colla vita ordinaria, essere un "buon padre di famiglia"con buoni amici. I lunatici possonosolo peggiorare