martedì 7 ottobre 2008

Discussione

Apro questo post come luogo di prosecuzione delle discussioni iniziate precedentemente, data la lunghezza raggiunta dei commenti. Per favore usate questo post per continuare i vostri commenti.
Grazie,
Enzo.

PS. credo che un blog che possa funzionare meglio è Wordpress, ho uno spazio web sul quale metterlo, ma vorrei sapere se ci sono persone che lo conoscono per dare aiuto nei settaggi e per trasferire il materiale da questo a quello.

18 commenti:

Anonimo ha detto...

Grazie James e Minimo,
Un po' filosoficamente mi viene da dire che il viaggio l'ho cominciato io, ma per avere la possibilità di arrivare deve necessariamente arrivare "qualcos'altro" al mio posto, io devo perdermi. Come fa un cammello a passare nella cruna di un ago?
J.

Enzo ha detto...

Ciao M.
ciò che ho osservato è quanto sia importante nel lavoro ricordare che "Lo scopo di opporre le nostre tendenze e' solo quello di fare osservazioni, non di cambiare le cose;"
Molto spesso l'azione di essere presenti è indirizzata ad "ottenere" qualcosa, a non essere identificato o a non esprimere la vanità, ma per la mia esperienza la presenza deve essere orientata all'osservazione di quello che siamo in maniera neutrale. Nel momento in cui osservo la mia identificazione per quello che è le sto portando via energia e questo nel tempo porta ad un cambiamento.

In relazione all'esempio mi viene da pensare, il mio scopo di contrastare la vanità (prima forza), la vanità stessa (seconda forza), e qui entra il punto importante nel lavoro, quale è la terza forza? se la mia terza forza, cioè quello che "orienta" l'ottava è il fatto di non essere vanitoso osservo che ho scelto la "terza forza sbagliata", non in senso morale, ma in collegamento all'obiettivo che perseguo. Se valuto qualcosa di me come non giusto, come dici tu M., non mi permetto di conoscere realmente quello che mi compone ma inizio a creare una nuova falsa personalità che poi per quanto possa essere più carina e vestire gli abiti "del bravo studente" non ci porta veramente a conoscere noi stessi.
Sto verificando che sia in una fase iniziale che in un momento più maturo nel lavoro è importante ricordare che lo scopo è quello di essere presenti e "testimoni" di sé, gli esercizi ad esempio servono come sveglia, non per diventare bravi a non dire una parola o a fare qualcosa.
E' difficile capire che solo essendo presenti a quello che siamo stiamo in realtà attuando un grandissimo cambiamento. Ovviamente la conoscenza è molto importante al fine di riconoscere quello che osserviamo e per dargli "un posto" nella nostra comprensione.

Enzo.

Anonimo ha detto...

"E' difficile capire che solo essendo presenti a quello che siamo stiamo in realtà attuando un grandissimo cambiamento."Per esempio? Cambiati come? come si fa a determinarlo? come lo avrebbe verificato? se possibile, per favore, in poche parole concise e chiare, senza giri intellettuali inutili.
Il 'momento' e' cosa semplice, per quanto ci faccia sentire gratificati il complicarlo.

Anonimo ha detto...

Ciao J,
che fai diventi criptico?

Cosa ti fa pensare che debba arrivare qualcos'altro?
O meglio ancora, da dove viene questo pensiero?
Se viene da qualcosa che non e' te, come fai ad averlo, e se invece viene da te, perche' dovresti perderti?
Non so se mi spiego.
La domanda fondamentale e': chi sta parlando, e perche' chiunque stia parlando pensa di dover svanire?

Caro Kuri (in realta' volevo solo dire questo, mi piace il suono sembra un vulcano alle hawaii -KaroKuri-),
non sono sicuro di averti capito.
Mi sembra di capire che sei molto sensibile all'uso di un certo tipo di linguaggio.
Da parte mia non prendo queste cose cosi' seriamente, identificazione, parlare inutile, in fondo sono solo parole, possono diventare strumenti utili in un certo frangente, o completamente inutili in un altro. Non penso siano da prendere come delle pugnalate tirate con cattiveria.
Come dicevo in un altro commento, e' come se incontrandoti facessi un commento sul colore della tua cravatta. Non e' una cosa da sudarci sopra.
Se si prendono queste cose troppo seriamente (e includo il lavoro in queste cose) si finisce o pazzi (non scherzo) o isterici.
Ci vuole leggerezza e senso dell'umorismo. Ci mantengono umani, umili (se possibile), e reali.

Caro Enzo,
ti scrivo un'altra volta che mi sono esaurito...

Enzo ha detto...

Sig. Parigi,
per esempio essendo presenti ad una identificazione non è più così assoluta, se vedo che la persona che mi ha tagliato la strada è completamente assente posso non prendere sul personale la sua azione e riesco a mettere distanza tra il mo essermi sentito "aggredito" dalla sua azione. Questo perché grazie alla presenza posso vedere che nel momento esistono risposte differenti e vedendole genero una "possibilità di scelta" che nella condizione di meccanicità non esiste. La determinazione di questo cambiamento è relativa alla possibilità di non essere immediatamente assorbiti da una situazione.

Augurandomi che la risposta sia sufficientemente concisa e chiara per lei le porgo i miei cordiali saluti, :o)
Enzo

Anonimo ha detto...

Cio' che lei ha appena descritto e scelto come esempio chiarificatore del suo commento, sembra a me essere relazionato al CONTROLLO su se stessi piu' che alla presenza; abbiamo tutti, quotidianamente svariate opportunita' di esercitare quel controllo su noi stessi e sulle nostre reazioni agli stimoli esterni. La mia domanda e' focalizzata sul quale sarebbe il risultato di tale controllo?
Vivere la propria vita il piu' leggermente possibile, senza appesantirsi il fegato con rabbia e preoccupazioni e cercare di comportarsi dignitosamente e civilmente, sono consigli che ho ricevuto sin da piccolo da parte di mia nonna.L'esempio forse non era dei migliori?
Non voglio essere sarcastico, chiedo : a cosa si sta mirando ? come ha verificato alcun risultato che possa discernere dai normali insegnamenti offerti dall'esperienza umana?
La mia prima lingua non e' l'italiano, prego scusarmi delle forme inesatte.

Enzo ha detto...

Sig. Parigi,
sono molto interessato a darle una risposta quanto più possibile completa, sia per usare questo momento personalmente sia per rendere disponibili ai lettori del blog delle informazioni che possono essere utili.
Mi trovo però a notare che la sua richiesta di brevità rischia di essere un arma a doppio taglio, sono d'accordo che lo sproloquio possa essere inutile, ma trovo che per dare parola a certe esperienze, che non sono direttamente intellettuali, si renda necessario uno scritto più lungo.

Invio anche gli altri lettori se hanno esperienze e comprensioni da condividere a scrivere, e le prometto a breve di postare una risposta più esauriente alle sue domande, alla quale, premetto, dovrà perdonarmi una lunghezza differente dalla precedente risposta da me datale.

Enzo

Anonimo ha detto...

Caro Minimo,
Il "perdermi" mi è venuto a seguito della tua risposta sulla vanità e su come la hai collegata alle tre forze . Mi spiego e dimmi e ditemi se sono troppo fantasioso e se sto deragliando vi prego. La nostra falsa personalità , che O. definisce come la nostra debolezza (o la risposta ad essa) è una forza negativa, cioè è materia. La materia ha in sè una possibilità, quella di trasformarsi. Senza materia non si crea energia. Quindi la nostra falsa personalità è quanto ci è dato come materia di sviluppo (la nostra dote). Qualcuno dice che una grande ombra è il prodotto di un grande animale e del sole che lo illumina. Non divaghiamo, questa materia non viene risolta solo dalla forza affermativa. L'uomo ordinario combatte con essa ma senza risolverla. La possibilità è nella terza forza che chiamerei genericamente "comprensione", innescata da abilitatori quali il ricordo di sè e soluzioni del pensiero creativo (non meccanicità) . Ora attraverso l'osservazione e la comprensione (mente-cuore-corpo) trascendo ovvero attuo un uso delle tre forze che mi porta ad es ad un processo di creazione che alimenta il livello energetico a scapito della materia. Questo sproloquio per dire che in questo processo di crescita interiore, vedrei una trasformazione della massa (falsa personalità) in energia (cristallizzata nell'essere). Ora per fare questo viaggio devo "dimagrire" in materia (ovvero carburante) e il cammello che sono deve diventare qualcosa sufficientemente piccolo in termini di massa ma sufficientemente ricco di energia, come una shuttle che lascia via via i reattori nel viaggio tra la luna (96) e la terra (48). In questo senso devo "perdermi", devo perdere quello che sono (falsa personalità) inoltre come dici tu "Un tipo di lavoro accade solo quando si e' lasciata andare l'idea di raggiungere un qualsiasi obiettivo" e allora forse (lo sperimenterò) devo vedere l'obiettivo e perderlo di vista allo stesso tempo, posso arrivare solo se mi riesco a "scollare" dall'idea di volere arrivare, che è il mio limite, come in un labirinto in cui si esce non cercando la strada di uscita ma avendo il coraggio di "perdersi" volontariamente.

Anonimo ha detto...

Per J.
Una sola cosa, per favore: non perderti... in labirinti mentali.
Essere sinceri con se stessi, per me e’ avere il coraggio, la liberta’ e il buon senso di dire: “Questa cosa non ha senso, non la capisco, non e’ utile e ora non so che farmene, per cui la butto via.” Ingrediente fondamentale e’ viaggiare leggeri.

Per E. "...sia in una fase iniziale che in un momento più maturo nel lavoro..."
Ti riferisci spesso a questa distinzione sui livelli di 'lavoro'.
Cosa intendi? Come si fa a superare il ‘quadro’?

Mi trovo d’accordo con Parigi, nella mia esperienza essere presenti non cambia nulla.
Essere presenti arriva e se ne va. Ora siamo presenti, ora non lo siamo.
Essere presenti non ha niente ha che fare col nostro comportamento.
Si puo’ essere presenti e allo stesso tempo mandare a quel paese chi ci taglia la strada. (giudicare ‘l’assenza’ di un’altra persona.ci fa sentire solo superiori in base a niente)
Bisogna abbandonare l’idea di poter cambiare le circostanze interiori accettandole per quello che sono.

Parafrasando M., seguendo la corrente della nostra meccanicita’ o andargli contro non altera la nostra possibilita’ di essere presenti ad entrambe i fenomeni.

Per finire:
Come fa un cammello a passare nella cruna di un ago?
Se riesci a tenere saldo l'ago in una mano, e il posteriore del cammello nell'altra, prendendo bene la mira… e' solo questione fortuna.
Dimenticavo, mantenere il senso dell'umorismo e' fondamentale.

Non vogliatemene, era solo per sdrammatizzare un po'.
J

Anonimo ha detto...

Caro J e amici vari,
non capisco perche' tu debba confinarti nell'essere la falsa personalita'. Non sono mai riuscito a distinguere la sottile e perfida distinzione tra personalita' ed essenza, nessuna lucina rossa si accende nel mio cervellino quando comincia una e finisce l'altra.
Quando si dice di verificare tutto, perche' non anche questo?
Se iniziamo a dare per scontato che siamo falsa personalita'(per la maggior parte) abbiamo iniziato un processo di auto-frammentazione che potrebbe portare, nel tempo a ulteriori divisioni e ad un atteggiamento eccessivamente critico verso noi stessi. Come dici tu "perdersi volontariamente", che traduco, lasciar andare la parte che non piace di me e tenere quella che mi piace(di solito e' cosi').

Quello che voglio dire, e' che ritengo veramente importante l'idea che accettare l'intero nostro essere, sia forse la cosa piu' importante del nostro cosiddetto "lavoro".
Niente e' piu' difficile di questo.
Soprattutto nei gruppi amanti della quarta via c'e una tendenza estrema (e pericolosa) all'auto-critica.
Anche l'amore per gli esercizi e' un po' connessa con questo. Vogliamo essere diversi da quello che siamo, per cui dobbiamo eseguire una serie di esercizi per diventare qualcos'altro, meditare, osservare, pregare, digiunare ecc...

Mi fermo qui.
Ovviamente sono solo cose su cui riflettere, mie esperienze personali che condivido perche' mi sarebbe piaciuto che qualcuno lo avesse fatto con me quando ho intrepreso questa strada. Non so se avrebbe cambiato nulla, ma almeno avrei avuto la possibilita' di vedere le cose da piu' di un punto di vista.

Anonimo ha detto...

Tra parentesi i miei tentativi di ragionamento e confronto ;

Mi sembra di capire che sei molto sensibile all'uso di un certo tipo di linguaggio.

( Probabilmente questo e' uno dei miei fraintendimenti per mancanza di elementi esplicativi, visto che il mio giudizio e le mie rielaborazioni in certi scambi non possono che essere parziali visto la mancanza di elementi e contesti ben inquadrati ma difficili da discutere a causa della inevitabile soggettivita'di ognuno nella situazione attuale )

Da parte mia non prendo queste cose cosi' seriamente, identificazione, parlare inutile, in fondo sono solo parole, possono diventare strumenti utili in un certo frangente, o completamente inutili in un altro.

( cioe' ? la domanda e' sincera, cosa significa e Quali sarebbero i frangenti dove tali concetti perdono la loro utilita' completa ? )

Non penso siano da prendere come delle pugnalate tirate con cattiveria.

( ci siamo capiti di nuovo male per mancanza di elementi esplicativi, ma di solito si da un peso alle parole in base anche al significato e importanza che attribuiamo a chi ci dice qualcosa, mi spiego ; " Idiota ! " detto da uno sconosciuto non mi tange realmente perche' associo un significato quasi pari a zero a un significante ancora ignoto che potrebbe rivelarsi un mitomane per esempio o un disturbatore, non mi e' dato di sapere se prima non ho riscontri pratici dell'attendibilita' di chi non conosco ancora, se invece mi da' dell'idiota una persona che conosco almeno in minima parte allora cio' mi muove per lo meno curiosita' e non astio o reazioni particolarmente rabbiose e distruttive come si potrebbe pensare; secondo me un giudizio rimane parziale approssimato e di dubbia utilita'nella sua esplicazione se prima non si e' stabilito un certo contatto, puo' darsi sia un mio limite e non un pregio, non lo so'e per ora non assumo posizioni particolari riguardo me stesso che ancora non conosco a fondo nelle sue frammentazioni )

Come dicevo in un altro commento, e' come se incontrandoti facessi un commento sul colore della tua cravatta. Non e' una cosa da sudarci sopra.

( bene, in questo frangente senza sudare cerco comunque di pormi una domanda del perche' di tale commento ammesso che ritenga che chi me l'abbia dato, come scrivo sopra abbia una certa attendibilita'e non abbia semplicemente voglia di scherzare o perdere tempo o sparare sentenze, mi piace farmi domande e chiedere il perche' delle cose in genere, ma come fa una persona senza ulteriori elementi oltre la prima apparenza di poche parole scritte, senza tono, senza gesto e senza articolazione a " sapere " che oggi ho messo la cravatta arancione perche' sto andando alla festa delle arance o che ieri la cravatta era rossa perche' era la prima che ho trovato nel cassetto e che domani sara' verde perche' per la mia visione delle cose cio' assume un particolare significato ? in questa ottica a che serve tale commento ? e' messo li' tanto per scrivere, e' motivato dal volere aiutare una persona ammesso che si sia leggittimati e che la persona bisognosa di aiuto possa ricevere, oppure ci sono altre motivazioni che non capisco ? )

Se si prendono queste cose troppo seriamente (e includo il lavoro in queste cose) si finisce o pazzi (non scherzo) o isterici.

( secondo me anche qui c'e' stato un fraintendimento,pero' qui ti faccio una domanda precisa anche per cercare di capire un'altro punto di vista, leggendo le trascrizioni delle conferenze di Mr.G , e' chiaro che egli non fosse un musone durante i discorsi pubblici anzi introduceva spesso anche nei suoi scritti tipo i racconti di Belzebu' al suo giovane nipote, degli elementi marcatamente allegri o quasi comici che al momento con la mia chiave di lettura mi trasmettono anche lo stesso concetto che mi pare di capire tu voglia esprimere sopra, ovvero di non essere musoni e che il lavoro non esclude momenti di gioia e allegria che forse possono servire a trasformare un certo potenziale di energie che altrimenti possono indurre all'isteria.
Alla luce di cio' grazie della constatazione ne prendo atto e con tutto il limite della parola scritta ti rassicuro sul fatto che non penso di essere un musone in linea di massima ! La mia domanda e' << quali elementi del lavoro dovrebbero essere presi alla leggera secondo te per non impazzire o sclerare nel tempo ?>>.


Ci vuole leggerezza e senso dell'umorismo. Ci mantengono umani, umili (se possibile), e reali.

( per ora associo spesso la leggerezza all'approssimazione, probabilmente se, quando avro' gli strumenti opportuni per potere compiere un cambiamento in questo senso se e' quello che mi serve, riusciro' ad avere la comprensione della giusta prassi individuale nell'economia di un rapporto civile, sano, umano, umile e soprattutto reale allora faro' tesoro di queste parole, grazie.
Nel frattempo tra una barzelletta e un motto di spirito cerchero' di non pensare troppo se cio' non si rivelasse produttivo ! )

grazie dello scambio che finalmente inizio a intravedere.

Ultima cosa che volevo aggiungere e' che secondo me bisognerebbe essere liberi di potere scrivere interventi con le proprie modalita' di espressione e se cio' comportasse un ragionamento logico piu' ampio ( in termini di lunghezza dei propri interventi per esempio ) nell'economia di una maggiore precisione e completezza nell'inquadratura del nostro pensiero , cio' non puo' che manifestarsi in una minore probabilita' di venire fraintesi tutta a guadagno di chi chiede una spiegazione e anche agli altri che cercano di cogliere l'essenza del significato di una spiegazione.
Nel dettaglio, se aggiungo qualche esempio accessorio durante un intervento, per il mio punto di vista cio' e' bene e mi piacerebbe sfatare l'opinione che scrivere interventi lunghi sia dovuto a manifestazioni di vanita' o parlare inutile.
Grazie
Dr. KaroKuri - Bali =)

Enzo ha detto...

Ci sono tanti post interessanti ai quali mi piacerebbe rispondere. Vorrei partire una cosa cui riflettevo stamattina riguardo alle basi delle idee del sistema.
L’idea di base del sistema è che l’uomo è addormentato, cioè in balia delle sue risposte automatiche. Il fine del lavoro è quello di portare l’uomo ad avere consapevolezza di se, ad essere padrone delle sue azioni.
Ci tengo a partire da questo presupposto perché ciò che segue questo concetto è quello che chiamiamo Lavoro . Nell’esempio della macchina, quello che volevo mettere in luce è il fatto che se sono presente a me stesso il cambiamento che si attua nel tempo è che vedo nuove e diverse possibilità nel momento stesso, a differenza dell’essere addormentato e reagire meccanicamente allo stimolo. I “consigli che ho ricevuto sin da piccolo da parte di mia nonna” non hanno una relazione diretta con la consapevolezza del momento sono sempre assimilazioni meccaniche per quanto buoni e certamente da usare se lo reputiamo giusto. Quello che volevo mettere in luce è il fatto che se sono più consapevole nel momento posso “scegliere” la risposta invece di esprimerla in maniera automatica, come di solito avviene. Di solito non siamo noi a scegliere di arrabbiarci o meno con chi ci taglia la strada, semplicemente rispondiamo in base a come siamo stati educati, nonna o meno.
L’obiettivo non è quello di evitare le difficoltà, ne di essere più piacevoli, ma di essere consapevoli di quello che siamo. Quando iniziamo a vedere noi stessi, ed in questo mi ricollego a quanto ha detto M. “ …ritengo veramente importante l'idea che accettare l'intero nostro essere, sia forse la cosa più importante del nostro cosiddetto lavoro”, vediamo quello che siamo e impariamo a poter accettare e “usare” noi stessi. Gurdjieff chiese ai suoi allievi cosa volevano ottenere da questo lavoro, la risposta che più rappresentava lo scopo del lavoro è quella di “essere padroni di sé stessi”. Attraverso il lavoro sul presente e la conoscenza di sé iniziamo a diventare più padroni di noi stessi e quindi ad “agire” le nostre azioni in maniera consapevole, questo vuol dire praticamente che posso anche urlare ad una persona se in quel momento reputo che possa essere l’azione che considero “giusta” nel momento, la differenza è che “so cosa sto facendo”.
“come ha verificato alcun risultato che possa discernere dai normali insegnamenti offerti dall'esperienza umana?” Vi è una sostanziale differenza tra una azione meccanica ed una consapevole è questo lo dobbiamo verificare e sperimentare personalmente, è difficile comunicare solo per scritto il risultato, che le posso dire riesco a “vedere” mio figlio a sentire che esiste, riesco a osservare i miei limiti e a farci qualcosa di costruttivo invece che respingerli e giustificarli, forse la poesia è lo strumento che meglio riesce a comunicare un certo stato dell’essere o l’arte in genere, parlare di uno stato di coscienza diverso usando le stesse parole che usiamo sempre rende la comunicazione più difficile e incerta, per questo credo che l’incontro e lo scambio diretto che siano necessari.
In relazione alla domanda di James personalmente parto dal presupposto che abbiamo qualcosa da imparare, altrimenti se fossimo già completi saremmo tutti coscienti. In questo senso è la verifica di ognuno della propria meccanicità che conta. Ma al momento in cui ho verificato che dovevo imparare qualcosa mi rendo anche conto che l’apprendimento ha delle fasi, in questo senso dopo un certo periodo che attuo un lavoro imparo delle cose e non sono più al livello di prima, l’esperienza ci fa vedere cose diverse e ci porta ad imparare cose nuove.
Sempre in collegamento a quanto detto da M. è vero che abbiamo la tendenza ad attribuire dei valori morali a quello che siamo, tipica tendenza delle scuole per attuare il controllo degli studenti ed evitare contraddizioni, pensiamo che la falsa personalità è il male e l’essenza il bene ad esempio. Questi sono dei limiti di noi stessi a causa dei quali ci impediamo di vederci per quello che siamo nel bene e nel male e di conseguenza di conoscerci in maniera completa. Se gli esercizi ad esempio diventano identificazioni e non semplici strumenti per creare un momento di presenza, se diventano delle imposizioni e degli strumenti di giudizio perdono completamente il loro valore. Ogni persona deve lavorare secondo la sua migliore comprensione e secondo quello che può fare nel momento, gli altri, come anche questi scambi di post, possono essere di aiuto per chiarire certi concetti e per condividere le proprie esperienze, ma poi spetta alla nostra esperienza l’ultima parola.
Vorrei chiudere dicendo che la divisione che si fa delle diverse parti dell’uomo è un passaggio, quando iniziamo a studiarci facciamo delle divisioni per semplicità e gradualità, come ad esempio dei centri, ma poi tutte queste divisioni si annullano nella totalità di noi stessi. Gurdjieff ne parla chiaramente quando dice che dopo che abbiamo verificato l’esistenza dei diversi centri ci dobbiamo osservare nella nostra interezza.

Lo so che sarò tacciato di essermi dilungato mostruosamente, vogliate perdonarmi ma c’erano molti soggetti che desideravo toccare.
Enzo

Anonimo ha detto...

Caro Kuri,
io ti parlo della cravatta e tu mi fai un'analisi dettagliata dei vestiti che indosso!
Non so bene cosa stai cercando di dirmi, ma mi sembra di capire che ti ho infastidito( o magari non capisco neanche in questo caso!).
Fammi premettere che non ti stavo accusando di essere musone o di prenderti troppo sul serio (magari e' vero, ma io non lo so).
Dici che accomuni la leggerezza all'approssimazione. Perche'?

Per me, questa idea, e forse e' piu' un approccio che un'idea, e' il risultato di anni passati nel prendere me stesso e queste idee troppo seriamente.
Non ho nessuna intenzione d'insegnare a te o nessun'altro come vedere le cose, o come imparare, o quello che sia giusto fare o non fare.
Se leggo qualcosa che mi fa pensare a certe cose che ho pensato o vissuto nel passato, allora scrivo quello che, nei miei limiti, ritengo possa essere utile.

Chiedi quali siani gli aspetti che dovrebbero essere presi con leggerezza nel lavoro.
Rigiro la domanda a te: quali aspetti ritieni dovrebbero essere presi seriamente, e perche'?

Master Ikkyu (maestro zen) ha detto "prendete le cose serie con leggerezza e le cose leggere con serieta'". Non chiedermi cosa volesse dire....

Caro Enzo,
'purtroppo' mi trovo d'accordo con te e Kuri sul fatto che certe cose non possono essere discusse brevemente.
Non trovo giusto fare una domanda mettendo delle condizioni nella risposta. In piu' trovo crudele fare una domanda a te e chiederti di essere breve e non intellettuale! :)
In piu' ci eri quasi riuscito!

Dici, o meglio citi:
"L’idea di base del sistema è che l’uomo è addormentato, cioè in balia delle sue risposte automatiche. Il fine del lavoro è quello di portare l’uomo ad avere consapevolezza di se', ad essere padrone delle sue azioni."

Questo e' un po' il punto di tutta questa conversazione. Sono dibattuto su come riuscire a dire certe cose senza suonare sacrilego, ma ci provero'. Non saro' breve, e forse dovro' continuare un'altra volta.
Intanto vorrei cominciare con il dire, che anche se reputo G. una specie di genio, non voglio accettare senza discutere quello che dice.
In realta' verificare di essere noi addormentati o che altri lo siano, non solo e' quasi impossibile, ma non so neanche quanto sia utile!
Non fraintendermi, ho usato questa idea per anni, e l'ho trovata utilissima (e forse lo era), ma guardando indietro, mi chiedo quanto mi sia stata d'aiuto e quanto invece tenda a farci sentire speciali, e creare cosi' una meccanicita' anche piu' profonda.

Tu hai letto De Ropp, per cui hai anhe visto il fallimento, non solo dei gruppi di G. and O. ma anche di quasi tutti i grupi basati su queste idee. Perche'?

Penso questo vada analizzato in profondita' prima d'intraprendere un qualsiasi tipo di lavoro (intendo in gruppo). Hai visto come De Ropp, fosse onestamente preoccupato delle tendenze psicologiche di persone nei gruppi, della tendenza dittatoriale dei diversi leader, tanto che era terribilmente titubante riguardo all'insegnare lui stesso, pur avendo molto da insegnare.

Tornando al sonno, possiamo vedere che abbiamo limiti e meccaniche. Come tutti gli esseri umani.
Ne vogliamo venir fuori, ed intraprendiamo un tipo di lavoro. Puo' essere meditazione zen, digiuni, preghiere tibetane o cristiane, esercizi di tutti tipi. Insomma la lotta al se' inferiore (falsa p.) per arrivare a quello superiore. Continuo a credere che qualsiasi tipo di lotta porti solo al suo contrario, o comunque lo rinforzi. L'idea della terza forza (invisibile a noi) e' ancora un mistero. Anche quando cercavi di spiegarla in relazione alla vanita', in realta' era ancora della prima a cui ti riferivi. Cosa sia la terza forza potrebbe essere la chiave di tutto, o di nulla.

Tu credi, mi sembra onestamente, che lo studio di se' attraverso esercizi tipo l'osservazione delle mani o dei pensieri (per non parlare dello studio della merenda che trovo geniale!)sia utile per osservare la meccanicita'.
Io non lo credo piu'.
Ho perso, e non solo io, una quantita' enorme di tempo a studiare cose di questo tipo. Niente, o quasi, di quello che so oggi su me stesso e/o gli altri e' derivato da questo tipo di esercizi.
Credo G. usasse cose del genere molto brevemente e con scopi ben definiti (Dio solo sa quali).
Noi non sappiamo riprodurre queste cose e la sola imitazione e' piu' pericolosa che il non far nulla.
(Non e' un'accusa, solo un'osservazione personale).
Mi fermo qui, e mi scuso per la lunghezza. Vorrei parlare anche della divisione dell'attenzione, ricordo di se' e varie....la prossima volta.

Anonimo ha detto...

J.: " Quali elementi del lavoro dovrebbero essere presi alla leggera secondo te per non impazzire o sclerare nel tempo ?"

James: Tutti!

E.: "L’idea di base del sistema è che l’uomo è addormentato, cioè in balia delle sue risposte automatiche. Il fine del lavoro è quello di portare l’uomo ad avere consapevolezza di se, ad essere padrone delle sue azioni."

James: "Incluso questo!"

E.: "Vi è una sostanziale differenza tra una azione meccanica ed una consapevole e questo lo dobbiamo verificare e sperimentare personalmente, è difficile comunicare solo per scritto il risultato."

James: "la differenza e' nell'essere li. L'azione non cambia in se', e non cambia noi." (In fin dei conti non e' poi cosi' difficile.)

E.: " Parlare di uno stato di coscienza diverso usando le stesse parole che usiamo sempre rende la comunicazione più difficile e incerta, per questo credo che l’incontro e lo scambio diretto che siano necessari."

James: " Quando sappiamo di cosa stiamo parlando, le 'parole che usiamo sempre' sono indubbiamente le piu' efficaci.
Usare un altro linguaggio ci da l'illusione di essere esclusivi dando al soggetto un tocco di importanza.

Kara-Kuri: "mi piacerebbe sfatare l'opinione che scrivere interventi lunghi sia dovuto a manifestazioni di vanita' o parlare inutile."

James: "In me ho osservato che un'altra 'caratteristica' dello scrivere interventi lunghi e' la mancanza di chiarezza nella comprensione di cio' che si vuole dire. Piu' tempo si investe nel chiarirsi le idee, con lo scopo della comunicazione, piu' semplice diventa. (a parer mio, s'intende)"

E.: "Quello che volevo mettere in luce è il fatto che se sono più consapevole nel momento posso “scegliere” la risposta invece di esprimerla in maniera automatica, come di solito avviene.

James: "Io a questa favola ci ho creduto per anni. Il momento sembra essere sempre in vantaggio su di noi. Non si sceglie il momento, ed in se' non c'e' scelta.. Esso e' cosi' com'e', perfetto in tutti i suoi aspetti, e noi non ci possiamo fare proprio niente.
La presunzione di divenire qualcosa di diverso da quello che noi siamo, di trasformarci in supereroi col potere di 'fare' nel momento, e' la nostra stessa 'Kriptonite'. (sempre a parer mio, per carita')

James

james

marcello ha detto...

http://www.youtube.com/watch?v=Mjle3QV2tq0


Vedo tante parole, dispute, dibattiti, accuse...e siamo ancora al punto di partenza!

Anonimo ha detto...

Caro Marcello,
e quale sarebbe il punto di partenza?
E quello d'arrivo?
:)

p.s. troppo facile essere criptici e poi scomparire...

marcello ha detto...

Caro superlativo assoluto...
io arrivo, scrivo e non ho nulla da replicare a un anonimo sconosciuto.

Anonimo ha detto...

Caro Marcello,
non vedo perche' la cosa ti tocchi cosi' profondamente...
se il mio nome fosse Massimo invece di Minimo, sarebbe diverso?
Io forse ti conosco perche' il tuo nome e' Marcello?

In amicizia, ignota o meno.
p.s. forse un giorno c'incontreremo, chissa'...