venerdì 28 dicembre 2007

Il Pensiero

Costretto ad affrontare di scorcio una questione che negli ultimi tempi è diventata per me quasi un’idea fissa, cioè il processo del pensare umano, ritengo possibile, senza aspettare il capitolo a ciò destinato, darvi subito un’informazione di cui sono venuto a conoscenza per caso. Secondo quest’informazione, sulla terra nell’antichità c’era una regola per cui un uomo abbastanza orgoglioso da volersi conquistare il diritto di essere considerato dagli altri, e di considerare se stesso, un “pensatore cosciente”, sin dai primi anni della sua vita responsabile doveva essere informato del fatto che il modo di pensare degli uomini si può svolgere in due modi: uno, il pensare mentale, si esprime in parole che hanno sempre un senso relativo; l’altro, proprio sia all’uomo sia a tutti gli animali, lo chiamerei “pensare per forme”.
Il “pensare per forme”, che serve a percepire il senso esatto di qualsiasi scritto e ad assimilarlo dopo averlo coscientemente confrontato con le informazioni acquisite in precedenza, si costituisce nell’uomo sotto l’influenza delle condizioni geografiche, del luogo di residenza, del clima, dell’epoca, e in generale dell’ambiente in cui ognuno si è trovato da quando è venuto al mondo fino alla maturità.
Conseguentemente nel cervello degli uomini, secondo la razza e la condizione d’esistenza e la regione in cui vivono, si costituisce, per quanto riguarda uno stesso oggetto o una stessa idea, una forma particolare e del tutto indipendente che provoca nell’essere, durante lo svolgersi delle associazioni, una sensazione ben definita, da cui viene attivata un'immagine soggettiva precisa; e quest’immagine si esprime con una parola che serve unicamente da supporto esteriore soggettivo.
Perciò una parola riferita ad una cosa o a un’idea specifica acquista un “contenuto interiore“ ben determinato, e del tutto diverso per uomini di paesi o di razze diversi.
In altri termini, quando nella “presenza” di un uomo venuto al mondo in una determinata regione si fissa una certa “forma” come risultato di influenze e impressioni specifiche locali, questa “forma” suscita in lui per associazione la sensazione di un “contenuto interiore” determinato, e quindi un’immagine o una concezione determinata che egli esprime con una parola divenuta abituale e, come ho già detto, soggettiva; ma chi lo ascolta – e nel cui essere, per le diverse condizioni di nascita e di educazione, si è costituita riguardo a questa parola una forma di contenuto interiore diverso – le darà sempre un senso del tutto diverso.
Del resto, si può verificare tutto ciò osservando con imparzialità uno scambio di opinioni fra persone di diverse razze, cresciute sin dalla prima infanzia in paesi diversi.
I Racconti di Belzebù a suo nipote pag. 23/24

1 commento:

Guido ha detto...

Ciao, mi chiamo Guido.
Ho letto in passato alcuni libri di Gurdjieff (tra cui I racconti di Belzebù a suo nipote) e La Quarta Via di Ouspensky... Li ho trovati affascinanti ma molto difficili...
Ora, grazie a internet, se ho la possibilità di poter scambiare idee con qualcuno più avanti sul cammino della Quarta Via, mi piacerebbe riprendere il discorso... ma...
Da dove comincio?
Se mi trovassi di fronte a Gurdjieff, come mi direbbe di cominciare?
Grazie. Un saluto.